NOI DEL MONDO RICCO DOVREMMO
FARE LA NOSTRA PARTE.
DOVREMMO INVESTIRE RISORSE PER AIUTI E TRASFERIMENTI DI
TECNOLOGIA, DOVREMMO CESSARE DI ACCAPARRARE TERRE E RISORSE
(IL LANDGRABBING)
COME ASSICURAZIONE PER IL FUTURO, DOVREMMO SMETTERE DI UTILIZZARE I TERRENI
AGRICOLI PER PRODURRE BIOCARBURANTI (CHE SIGNIFICA SEMPLICEMENTE ALIMENTARE AUTO
E NON PERSONE) E DOVREMMO SPRECARE MOLTO MA MOLTO MENO (1/3 DELLA PRODUZIONE
TOTALE DI CIBO DESTINATO AL CONSUMO UMANO
FINISCE IN DISCARICA)
La fame,
la malnutrizione è uno scandalo, un oltraggio alla nostra umanità. E la cosa più
insopportabile è dover accettare che ancora oggi ci siano ben 842 milioni di
persone che soffrono la fame, sapendo che l’abolizione di questo scandalo è
assolutamente alla portata dell’umanità. Nonostante la crescita della
popolazione, ancora vertiginosa; nonostante le guerre che ancora insanguinano la
terra; nonostante l’infragilimento dell’ecosistema e della sua biodiversità, e
il profilarsi all’orizzonte dei pericoli del cambiamento climatico. Se solo
volessimo risolvere questo problema con la stessa determinazione collettiva
mostrata (ad esempio) nella lotta contro l’assottigliamento dello strato di
ozono nell’atmosfera.
Proviamo
a ragionare sulla base dei numeri. Useremo quelli dello «Stato dell’insicurezza
alimentare nel mondo 2013», il rapporto delle agenzie alimentari delle Nazioni
Unite (Fao, Ifad, Wfp) pubblicato in occasione della recente Giornata mondiale
dell’alimentazione. Nel periodo 1990-1992, quando su questo pianeta eravamo 5,3
miliardi, le persone affamate (interessate da una condizione di quasi totale
assenza di cibo quotidiano, o che non hanno abbastanza cibo per condurre una
vita sana e attiva) erano 1.015 milioni, il 19% dell’umanità. Nel 2000-2002
erano scese a 957 milioni (il 15% dei 6,4 miliardi di allora). Nel 2008-2010
erano diventati 878 milioni (il 13% di 6,7 miliardi). Secondo i dati più
recenti, relativi al periodo 2010-2013, sono diminuiti a quota 842 milioni, il
12% degli oltre 7 miliardi di persone che vivono sulla Terra.
È tanto.
Tantissimo. Troppo. Eppure è anche la dimostrazione che anche se la crescita
della popolazione non è ancora sotto controllo, anche se l’azione di contrasto
alla fame e gli aiuti dei paesi più ricchi a quelli più poveri sono del tutto
inadeguati, la guerra alla fame non è una guerra contro i mulini a vento.
L’Obiettivo del Millennio fissato nel 1990 da una distratta comunità
internazionale prevedeva di dimezzare la percentuale di affamati entro il 2015:
probabilmente ce la faremo, dice il Rapporto. E già 22 paesi su 62 l’anno scorso
hanno raggiunto l’altro (più ambizioso) obiettivo, stabilito nel ’96, di
dimezzare entro il 2015 gli affamati in cifra assoluta.
Tre,
fondamentalmente, le ragioni del miglioramento della situazione. Primo, lo
sviluppo impetuoso di ampie Regioni del pianeta, che ha accresciuto i redditi e
aumentato la produttività agricola. Secondo, la massiccia emigrazione dai paesi
poveri verso la parte ricca del pianeta: le rimesse dei migranti migliorano in
modo assolutamente incomparabile le condizioni di vita di chi resta. Terzo, la
vera e propria rivoluzione introdotta da Lula in Brasile, e poi imitata in molti
altri paesi: politiche di redistribuzione e di sostegno monetario del reddito a
favore dei più poveri. Strumenti diretti e immediatamente efficaci.
Asia
Orientale, Sudest Asiatico ed America Latina, lo si può dire, sono ormai fuori
dall’incubo fame. La situazione resta tesa nel subcontinente indiano e in Africa
Settentrionale, ma più o meno risolvibile. Il centro del dramma resta sempre
l’Africa sub-sahariana. Se in altri paesi africani venissero attuate (lo ha
fatto il Ghana con successo) le politiche mirate di sostegno a poveri e piccoli
agricoltori, i risultati arriverebbero certamente.
(Fonte:
Lastampa.it)
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