martedì 24 luglio 2012

LE SCELTE DEGLI ALTRI

 

Non è possibile ai giorni nostri proibire a chiunque abbia il desiderio di avere un figlio  di farlo morire....NON ACCETTO QUESTO !!!

Il dono di una nascita dev'essere fonte di vita


Da diversi giorni in Cina – ma soprattutto fuori dalla Cina – si discute della storia di Feng Jianmei, una ragazza cinese di 23 anni. Feng Jianmei ha un figlio ed era incinta, contravvenendo così alla cosiddetta “politica del figlio unico” adottata in Cina a partire dal 1979. Impossibilitata a pagare la multa prevista dalle leggi – l’equivalente di quasi 5.000 euro – è stata picchiata da tre funzionari e costretta tramite un’iniezione a interrompere la sua gravidanza, che era arrivata al settimo mese.

Due giorni dopo il feto è stato espulso.

La “politica del figlio unico” è stata inaugurata nel 1979 da Deng Xiaoping, quando il paese contava un quarto della popolazione mondiale, ed è sempre stata al centro di molte critiche. La politica prevede che alla maggior parte dei genitori cinesi sia proibito avere più di un figlio, allo scopo di bilanciare l’esplosione demografica di cui il paese è stato oggetto fin dagli anni Sessanta.

Quella del figlio unico è la principale politica di controllo del tasso di natalità, che in Cina è parte di un programma detto di “pianificazione familiare”.

Per sposarsi e fare un figlio – fatte salve alcune eccezioni – è necessario dotarsi di una licenza emessa dallo Stato, pena il pagamento di multe costose o, spesso, dell’aborto coatto.

Le stime ufficiali governative assicurano – riferendosi al periodo 1979-2011 – di aver ostacolato un totale di circa 400 milioni di nascite e, anche se si tratta di numeri intenzionalmente esagerati, la pianificazione demografica è diventata una parte importante della strategia politica di Pechino: la stessa vicenda di Chen Guangcheng, da poco conclusasi con l’arrivo dell’avvocato attivista a New York, ruota intorno al tema degli aborti forzati, cui Chen si oppone fieramente da anni. Nel 2008 fece altrettanto scalpore il caso di Jin Yani, una donna costretta ad abortire al nono mese di gravidanza perché, pur trattandosi del suo primogenito, non aveva fatto richiesta del permesso di nascita governativo.

(Fonte: www.ilpost.it)

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